P. Q. M.
Nasce l’Accademia degli Informi. Antonio Delfini ne è il capo conclamato. L’Accademia non ha sede, non ha statuti, non ha corpo accademico. È libera, gratuita, indefinita. È possibile soltanto esserne espulsi. I suoi canoni non consentono di individuare la perfezione della perfezione, ma soltanto di indicare e infamare la perfezione dell’errore: venalità, futilità, utilitarismo, opportunismo, immodestia, sicumera e altre virtù prettamente letterarie. In questa temperie di glorie fabbricate dal mattino alla sera, di professionismo dei neonati, di quotazione mercantile delle idee ricevute, il fine abbastanza settario dell’Accademia mira a restituire al caos originario il peccato della poesia. Vedremo, col tempo, che questa sveglia sarà la vera Vanoni delle lettere, la denuncia dei redditi dell’ingegno. All’ombra del ferraiolo nero del Duca di Modena, l’intellettuale italiano si confesserà, farà atto di contrizione e si monderà dei proprii peccati di gola e d’avarizia, lasciando ai trafficanti di valute, agli speculatori di aree e ai generici del cinema il conto dei profitti e delle perdite.
Antonio Delfini, Cronache degli informi,
«Il Caffè», a. VII, n. 7-8, luglio-agosto 1959
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