Il Protettore Della Nipote di Mubarak dice:
Scioglieremo la Camera…
nell’acido.
Negli ultimi tempi il reality show dell’autoritarismo sberluconiano ha toccato punti ignominiosi della sua parabola storica. Che la sensibilità politica dei ‘cattolici’ (qualunque cosa questo termine significhi, partiti o vescovi o base elettorale) sia stata toccata, almeno in parte, soltanto dai recenti episodi di meretricio autocratico, piuttosto che dalle autentiche infamie perpetrate a suo tempo da Sberluconi a livello di giure istituzionale, la dice lunga sugli effetti malsani che il cattolicesimo politico tuttora spande nella vita pubblica italiana (per tacere di quella privata).
In veste di telemagnàte, Sberluconi ci ha devastato il fegato con i suoi reality per tutti gli ultimi quindici anni. Chi di reality ferisce, di reality perisce. Adesso è ora di derealityzzarsi: raccontare un racconto diverso, se non proprio nuovo, per cercare di sottrarci almeno un poco alla saturazione dell’etere sberluconiano che ci va incrostando il metabolismo sino al punto di generare baccelloni ultracorporei cloni di se stessi.
SPESALVI
Il berlusconismo ha esaurito,
pare, la sua spinta propulsiva:
ma ora ci restano, perlomeno,
tonnellate di merda da spalare via.
Rimboccarsi le maniche? Da mo’
il papismo ha esaurito, nonché brio,
ogni spinta propulsiva, epperò
continua a seminar di Beati franchisti
gazzette e cerimonie in eurovisione.
Sperare è bene, non sperare è meglio.
Da quasi un mese arroccata nel cesso,
sulla sua atarassia intestinale
strizza le meningi e mi munge il sesso
per spasso, con la protesi dentale
mitrandolo: e col fumigante leppo
ch’esala mite dal covato mucchio
di merda, onde scricchiola il coppo zeppo,
l’incensa, e litània: “Pio padre, un succhio
su, baciami il culo, un succhio, ti prego,
ché un tòcco aguzzo di stronzo m’ingolfa!”
Ma soavi voci zittiscon la solfa:
“Dolce figliola… putre otre di sego,
ciscranna incipriata, cisposa troia,
paga lo scotto e ti cavo la foia!”
All’emorroide croia
la ventosa avvinghio del mio labbro:
pompando come mantice di fabbro
dei polmoni la spugna;
sturo la tana pelosa del coso,
angue che sguiscia, tenace, colloso,
tra i cuscini di sugna
in cui ribolle il sugo della prugna,
e casca come testa ai piè del boia.
“Ei piovve tal qual ploia,
nacque come scoria di mangiatoia:”
geme la mamma, “Venite odoremus!
Portonemque meum inferni charta nettemus.”
Votate votate votate!
il primo di aprile
non siate pesce in barile.
Onore al Presidente Incaricato,
onore al Generale al Deputato al Ministro,
onore a Sua Eminenza,
riverisco il Povero Cristro
(non se ne può fare senza).
La Ggente ci ha raggione da vende’
(assieme al Cliente)!
Somma gloria al Valsente.
Via copule e violenza dalle televisioni!
i poveri bambini poverini…
Fate largo invece all’Equestre Sberluconi
(giù tutti carponi
col gluteo alle stelle,
la testa dai sabbioni
nessuno vi disvelle)!
Appicca rivoluzioni
in tasca ai ceti medi
(fa i salti mortali
e ricade sui due piedi
o a cavallo dei capitali
o sui conti segreti
correnti a gambe levate.
Cogli industriali in congrega
si spara una sega:
ciascuno presta una mano al collega,
lui è l’alfa e l’omega.
E non sembra che abbia
la monopoliomielite
e lo roda la rabbia
e villeggi alla clinica Dite).
Incenso alla CEI,
oro all’Opus Dei
(la mirra la tenga pure lei).
Chi votava il crocifesso
non si turi più il naso,
venga fuori dal cesso
e me! me voti adesso!
Nessun compromesso
ma solo condoni
e lavoro a milioni
(va loro riconosciuto
il valore di uno sputo screziato
di etica all’ultimo minuto).
M’inchino a Mon Teschiò:
il legislativo alla mia destra,
l’esecutivo alla mia sinistra,
il giudiziario è il dilemma:
mozzate la testa
ai giudici assassini!
soffocate nel sudario
i procuratori bambini
(non dite al bottegaio
che, col suo, annaffia
il voto della mafia)!
So’n omo d’un pezzo
io, mica d’un paio:
conciono con sinàfia,
a dure marce avvezzo,
all’afa e al rezzo,
non è già da sezzo
che lasciai il capezzo!
Noi siamo i nuovi, i nuovi
padroni, che ciò ci giovi:
costoro ci faccian da bovi.
Altri si ficchi nel sacco
la piva con tutte le fanfare:
io mi tengo stretto stretto
il mio particulare:
plauso al mio pacco!
Anziché averlo nel retto,
lotta, lotta di classe!
che non è acqua, non fa difetto!
A me quel ch’è mio!
quant’è vero iddio…
E il resto che si fotta!
A noi le casse di risparmio,
le casse di risonanza, a noi!
le grancasse e la finanza!
Lo Stato ci fa torto,
a noi tutta la potta!
A loro le tasse le imposte
le carcasse le croste
le casse da morto!
(Applausi)